Come vedono i Cefalopodi ?

In natura gli occhi comandano, ed ogni essere vivente li ha sviluppati in base al proprio stile di vita e al proprio habitat.

Gli antenati dei moderni cefalopodi, hanno modificato il loro sistema visivo per sopravvivere.

 

Ma questo non è accaduto in una sola notte, i cefalopodi si sono diversificati negli attuali polpi, seppie e calamari in un periodo di grande cambiamento nel mondo marino, conosciuto come la Rivoluzione Marina del Mesozoico, da 160 a 100 milioni di anni fa. I nostri amici cefalopodi, così come li conosciamo oggi (più o meno, non voglio entrare troppo nel dettaglio onde evitare una lezione di paleontologia), abitano i mari di tutto il mondo da oltre ventuno milioni di anni. Ne solo la testimonianza ritrovamenti fossili rarissimi come questo:

                                                

Dico rarissimi perché essendo dotati di corpo molle (dopo la Rivoluzione Marina del Mesozoico) e solo di una conchiglia interna, (seppie, calamari e polpi), generalmente i ritrovamenti si riducono al rinvenimento di oggetti come questo: un “belemnite”, ossia il  rostro.

                                               

Per esempio la foto sotto riportata  era un piccolo branco di calamari o seppie che subito dopo la loro morte si sono depositati sul fondo sabbioso del mare, e nei milioni di anni si sono fossilizzati perdendo ogni traccia della parte molle del loro corpo, lasciandoci solo il resto pietrificato, il famoso “osso”, il gladio o calamo che dir si voglia.

                                                 

Oggi come oggi, a tutti i pescatori e appassionati di biologia marina, piacerebbe saperne di più in merito alla capacità visiva dei cefalopodi. Durante i nostri “pellegrinaggi” su eBay o su siti specializzati nella vendita di totanare, nel momento in cui dobbiamo scegliere forme e colori, ci domandiamo se calamari e seppie ci vedono bene, se distinguono i colori, se percepiscono il giorno dalla notte. Ovviamente è d’obbligo premettere che nessuno oggi conosce la verità assoluta, ma ci si basa su ricerche scientifiche e analisi dei tessuti effettuate in laboratorio, poi confrontate con situazioni reali.

Nella pesca a eging, quindi, è estremamente importante, per non dire determinante, la fase dell'individuazione visiva dell'egi da parte del cefalopode. Ne deriva che il pescatore debba "presentare" visivamente l'esca nel miglior modo possibile. Per far ciò, risulta di fondamentale importanza capire come i cefalopodi vedono la preda, perché non è detto -e di fatto non lo è- che questi animali vedano nello stesso modo in cui vediamo noi.

Ma allora, come vedono i cefalopodi?

In questo articolo riprodurrò analisi effettuate da team di scienziati, americani, giapponesi e non solo, con le relative conclusioni.

 Spesso mentre faccio ricerche, leggo articoli dove riportano che i calamari hanno una buona vista, e questo in varie letterature.

 Ma cerchiamo di capire, facendo un passo indietro e analizzando sia la vista dei cefalopodi, che il loro sistema per percepire i pericoli in condizioni particolari.

Ci sono circa cinquecento specie di calamari in tutto il mondo e circa un centinaio di specie di seppie che vivono in tutti gli oceani che circondano il globo, rendendoli una fonte di cibo affidabile per l’uomo in primis, per i grandi i capodogli, delfini, squali, uccelli marini, pesci e persino altri calamari.

                                            

Al contrario, i calamari stessi sono temibili predatori oceanici. Ma i loro adattamenti più straordinari sono quelli che si sono evoluti per aiutarli a contrastare i loro predatori. I calamari, che si trovano principalmente negli habitat di estuari, acque profonde e in alto mare, nuotano spesso insieme in banchi. Esposti all'aperto senza alcun luogo per nascondersi si rendono vulnerabili, quindi come prima linea di difesa, fanno affidamento a occhi grandi e ben sviluppati. Nel calamaro colossale, questi sono delle dimensioni di piatti da cena, i più grandi occhi conosciuti nel regno animale.

I cefalopodi hanno un sistema visivo altamente capace, con occhi prominenti e lobi ottici dominanti, utili per il rilevamento dei predatori e fondamentali per l'inizio delle risposte di fuga.

La visione dei cefalopodi è stata considerata la modalità sensoriale dominante utilizzata nel rilevamento dei predatori a causa della natura complessa e ben sviluppata dei loro occhi. Essi hanno un ampio campo visivo che può estendersi oltre 360 ​​gradi sul piano orizzontale, consentendo loro di rilevare i predatori all'interno di un'ampia sfera sensoriale.

Partiamo dal fatto che gli occhi dei cefalopodi sono molto diversi dagli occhi umani.

 Vediamo ora se riusciamo a spiegare ulteriori dettagli riguardo alle differenze.

Test giapponesi hanno misurato che il livello più alto dell'acuità visiva è 1,2 - 1.5 decimi per i calamari e per le seppie. Per il loro genere questi valori sono elevatissimi, ovviamente non sono confrontabili con il genere umano. Il risultato è una vista acuta, ma solo dal punto di “posizione focalizzata”. Per posizione focalizzata ci si riferisce alla capacità degli occhi del calamaro e della seppia di distinguere le cose solo nella posizione difronte a loro. L’abilità degli occhi di entrambi di distinguere o non distinguere cose che non sono in una posizione focale non ha senso, pertanto tutto ciò che gli passa a lato degli occhi, non viene preso in considerazione dal loro sistema ottico. Quando un calamaro o una seppia cacciano "un EGI" ed in fine lo toccano con i loro tentacoli significa che l’esca, è stata attaccata, nel punto focale davanti a se, quindi in una posizione visibile per ambedue.

In quel momento la vista del calamaro  e della seppia sono al massimo-.

Dopo la “Vista di calamari & seppie”, la successiva domanda è la “percezione” della vista. Si vocifera che  non possono distinguere i colori, ma questo argomento è un po’ più complesso, quindi cercherò di spiegarlo utilizzando dati che ho trovato in varie ricerche. Vediamo di illustrarlo nei dettagli. Ognuno di noi si può ricordare la sua lezione di biologia a scuola.

                                        

L’occhio umano è come l’obiettivo di una macchina fotografica, le lenti degli occhi sono come le lenti della macchina fotografica, e la retina è la pellicola.

                                    

Tra le cellule nella retina, ci sono cellule che funzionano in luoghi luminosi, e altre cellule che funzionano in posti privi di luce. Se andiamo velocemente da un luogo illuminato ad uno privo di luce, temporaneamente non vediamo niente, ma gradualmente saremo in condizioni di vedere- Questo perché ci sono due tipi di cellule nella retina: Cellule a coni che funzionano nei posti illuminati, e cellule a bastoncello che funzionano nei posti privi di luce. Le cellule a coni, si attivano nei luoghi luminosi e sono coinvolti nella discriminazione del colore. Le cellule a bastoncello si attivano nell’oscurità, sono coinvolti nella sensibilità del bianco e del nero.

Ora viene la parte un po’ più complessa della spiegazione.

Le proteine contengono al loro interno cellule fotorecettori. Il tipo di proteina sensibile al colore nelle "cellule a coni" che distingue i colori, dipende dall’animale. Ci sono anche proteine che individuano i raggi UV, ma gli esseri umani non le hanno. Inoltre nelle “Cellule a bastoncello” c’è una proteina rappresentativa la “rodopsina”, essa permette la vista in bianco e nero. La capacità visiva dipende da quale di queste proteine un apparato visivo possiede. Esaminando la proteina potremo dire quale colore gli animali sono in grado di distinguere. Quindi esaminando le proteine, saremo in grado di stabilire quali colori possono o non possono essere visti/individuati da calamari-seppie o i cefalopodi in genere. In aggiunta se noi esaminiamo questa proteina, possiamo collegare quel tipo di cefalopode ad un area dell’oceano ben precisa e potremo capire a che profondità staziona abitualmente.

                                                    

I calamari e le seppie non possono distinguere i colori, perché essi hanno solo la Rodopsina.

Vediamo di spiegarlo a confronto con l’essere umano. Conoscete le frequenze dei “tre colori primari della luce”? L’uomo può distinguere tra il rosso e i colori blu e verde.

Combinandoli tra di loro, noi possiamo distinguere i colori in luoghi luminosi. Anche noi abbiamo la Rodopsina, cosi possiamo distinguere anche il bianco e il nero.

                                           

                                            Questa foto mostra un fondale a -40 mt.

                                              

E’ un po’ buio ed è difficile vedere. Ma l’essere umano può distinguere i colori, come puoi vedere le alghe marine, le rocce, il relitto. Al contrario, ecco la tavola dei colori percepita dai cefalopodi.

                                        

Di conseguenza noi vediamo che esiste solo la Rodopsina. Questo significa che i calamari e seppie non possono distinguere tra il rosso, il blu il verde ecc., perché non c’è la proteina che permette di distinguere i colori. Così noi possiamo concludere che essi possono distinguere solo il bianco e il nero. Questo è l’immagine che dovrebbe percepire la vista del calamaro o della seppia di cui stiamo parlando.

                                             
 

Quasi sicuramente il calamaro e la seppia vivono in un mondo bianco e nero.

Da un punto di vista scientifico possiamo spiegarlo fino a un certo punto come mai si siano evoluti in tal senso, ma più avanti azzardiamo un’ipotesi. Prendiamo questi fotogrammi sott’acqua.

                                     L’immagine a colori è quello che noi vediamo.

                                         

                                             

L’immagine in bianco e nero è quella che si presume possono vedere i calamari e le seppie.

Inevitabilmente, l’intensità della luce nell’acqua diminuisce con l’aumentare della profondità. Più un EGI affonda, più il colore va perdendosi. Sebbene il rivestimento di questo EGI, è di un colore rosa acceso, in profondità il colore svanisce, ma anche il colore delle alghe era verde, ora il colore è cambiato in grigio. I colori si perdono poco a poco, all’aumentare della profondità- La differenza dei chiaro scuri dei colori dell’EGI, è ideale per i calamari  e le seppie che vivono nelle situazioni più diverse di luce e torbidità dell’acqua marina.

 

Direte voi da attenti lettori:” Allora come mai ci sono un gran numero di colori di Egi prodotti dalle più disparate Aziende e presenti nei negozi, se poi più scendono in profondità, più i colori si perdono? Tecnicamente posso rispondervi che è corretta la vostra osservazione, ma I colori degli Egi sono visibili in terra, ma non sono la stessa cosa visti sott’acqua, ma soprattutto non hanno la stessa visibilità per l’occhio umano e per i cefalopodi. La struttura degli occhi dei calamari e delle seppie è diversa dalla nostra. Lo stesso colore può apparire diverso a noi, al calamaro e alla seppia. Possiamo domandarci come mai entrambi i cefalopodi hanno abbandonato la necessità di discriminare i colori e si sono specializzati nell’essere capaci di percepire chiari e scuri.

 

Ma ecco subito pronta la risposta: “semplice i colori sono impoveriti nell’acqua con poca luce, quindi si sono specializzati nel saper percepire chiari e scuri. Tutto questo lo immaginiamo come un processo di evoluzione e adattamento”.

 

 

  Questa immagine rappresenta una situazione in mare come la possono vedere il calamaro e la seppia

                                            

Abbiamo cambiato l’immagine in bianco e nero, per potervi far capire che i calamari  e le seppie non possono discriminare i colori. Quindi vediamo un rivestimento a macchie, ovvio. Gli Egi che hanno molti chiari e scuri sono ben visibili ad entrambi. Quando gli EGI si muovono e si trovano nel campo visivo del calamaro o della seppia difronte a loro, essi possono riconoscere che qualcosa si sta muovendo. Non solo i colori, ma anche il rivestimento ha una grande influenza, su ciò che può vedere il calamaro e la seppia. Ambedue possono vedere la differenza dei chiari-scuri dei colori tra il motivo(disegno) e il colore del tessuto o della base. Fate una prova, prendete l’immagine del vostro Egi preferito e guardala in bianco e nero. Vi raccomando realmente di farlo mentre immaginate il posto dove generalmente andate a pescare. Il contrasto cromatico dell'EGI è diverso da situazione a situazione. Per esempio se il fondale è roccioso, sabbioso o con alghe. Il fondale non è sempre un bianco pulito(chiaro). Abbiamo bisogno di immaginare il posto dove noi generalmente peschiamo o l’orario in cui andiamo a pescare. Per esempio in un tratto di mare di notte, una zona rocciosa in pieno giorno, un’area con le alghe al mattino e così via. Le seppie e i calamari si presume non possono vedere i colori, ma possono vedere la luce, anzi la percepiscono piuttosto che vederla- Il tipo di fondale e la luce che penetra in mare che sia di giorno o di notte, giocano un ruolo fondamentale di contrasto anche per gli” Egi “di colore unico.

Riporto di seguito una tabella utilizzata dai giapponesi per far vedere come probabilmente i cefalopodi  percepiscono i colori sott’acqua alle diverse profondità messa a confronto con quello che percepisce l’occhio umano. Anche se le scritte sono in parte in lingua giapponese è ben facile capire a cosa si riferiscono viste le sigle e i numeri in essa contenuti.

La tabella si divide in due parti principali, nella parte superiore, vediamo la percezione del colore da parte dell’uomo sott’acqua che varia col variare della profondità, una gamma di colori basilari. Sulla linea orizzontale in alto dello schema sono riportati per ogni colore i nm, mentre nella parte verticale a sinistra dell’immagine è segnata la profondità. Quindi incrociando il colore con la profondità abbiamo come l’occhio umano percepisce il colore sott’acqua fino a circa 21 metri. La tabella in basso rappresenta la percezione dei colori alle diverse profondità da parte dei cefalopodi.

                                               

Nasce il concetto di “Totanara di Zona”, ossia la totanara di un colore che fondamentalmente va per la maggiore in termini di catture in quella determinata area,(non necessariamente di grandi dimensioni).Questo come già detto dovuto all’ambiente sottomarino in cui i cefalopodi vanno ad alimentarsi e alle sue condizioni sia biologiche che morfologiche che possono anche essere influenzate da luci delle aree portuali, presenza di acque dolci, ed altri elementi che ne determinano le caratteristiche.

 

 

Pubblico di seguito altri studi che hanno comunque una base comune, a quanto già detto, ma questa è la scienza, si deve avere un punto di partenza (che in questo caso è la struttura a “Macchina Fotografica” dell’occhio dei vertebrati, e in particolare dell’uomo. 

È stato documentato che diversi tipi di cefalopodi, in particolare calamari e polpi, e potenzialmente seppie, hanno occhi in grado di distinguere l'orientamento della luce polarizzata. La funzione precisa di questa capacità non è stata dimostrata, ma si ipotizza che sia per il rilevamento delle prede, la navigazione e possibilmente la comunicazione tra i cefalopodi che cambiano colore.  

Detto in parole povere la sensibilità alla luce polarizzata consente di vedere i contrasti, un pesce scuro su un fondo chiaro, o un pesce chiaro su fondo scuro, è in questo modo che individuano i loro “bersagli”, distinguono i contrasti.

                            Queste due imagini rappresentano la vista sensibile alla luce polarizzata

 Anche se un pesce fosse trasparente per loro non sarebbe un problema. I calamari hanno un arma per qualsiasi ostacolo e neutralizzarlo comunque.

 

 

        Ecco come invece apparirebbe la stessa immagine alla vista dei mammiferi o dei pesci.

                                                           

Nel documentario “Super Senses: the secret power of the animals”, i ricercatori sostengono che i cefalopodi sono “daltonici”, tanto da non vedere le differenze tra colori. Gli scienziati hanno scoperto, che non è importante il colore nel regno in cui vivono, spesso fatto di tenebre, nelle quali cacciano per la maggior parte della loro vita, ma la qualità fisica della luce e come viene polarizzata. Quando le onde luminose vengono emesse dal sole o da altra fonte, viaggiano in tutte le direzioni, e ad ogni angolazione, ma non sono polarizzate. Invece quando la luce colpisce alcuni oggetti, solo le onde che viaggiano ad una certa angolazione vengono riflesse, questa è la luce polarizzata.

                                                  

L’uomo non può percepire la polarizzazione senza occhiali speciali da sole contrariamente ai cefalopodi. Essi possono rilevare la più piccola variazione dell’angolazione della luce riflessa da un oggetto compresi altri loro simili. Mentre noi vediamo ad esempio un maschio di seppia che cambia colore, la femmina ed altre seppie, vedranno un mosaico di disegni estremamente dettagliati, affidandosi alla visone polarizzata.

                                                        

          Negli occhi dei vertebrati, le fibre nervose passano prima della retina, bloccando un po 'di luce e creando un punto cieco in cui le fibre passano attraverso la retina. Negli occhi dei cefalopodi, le fibre nervose passano dietro la retina e non bloccano la luce, né interrompono la retina. 1 è la retina e 2 le fibre nervose. 3 è il nervo ottico. 4 è il punto cieco dei vertebrati.

I cefalopodi, in quanto predatori marini attivi, possiedono organi sensoriali specializzati per l'uso in condizioni acquatiche. Hanno un occhio di tipo “telecamera” che consiste in un'iride, una lente circolare, una cavità vitrea (gel per gli occhi), cellule pigmentate e cellule foto recettrici che traducono la luce dalla retina fotosensibile in segnali nervosi che viaggiano lungo il nervo ottico verso il cervello. Negli ultimi 140 anni, l'occhio del cefalopode di “tipo telecamera “è stato confrontato con l'occhio dei vertebrati come esempio di evoluzione convergente, in cui entrambi i tipi di organismi si sono evoluti in modo indipendente, il tratto occhio-telecamera ed entrambi condividono funzionalità simili. Esiste una controversia sul fatto che questa sia veramente evoluzione convergente o evoluzione parallela. A differenza dell'occhio della telecamera dei vertebrati, nei cefalopodi si formano dei ripiegamenti di tessuti (invaginazione) della superficie del corpo (piuttosto che escrescenze del cervello), e di conseguenza la cornea si trova sopra la parte superiore dell'occhio invece di essere una parte strutturale dell'occhio. A differenza dell'occhio dei vertebrati, un occhio di cefalopode è focalizzato attraverso il movimento, proprio come l'obiettivo di una fotocamera o di un telescopio, piuttosto che cambiare forma come fa l'obiettivo nell'occhio umano. L' occhio è approssimativamente sferico, così come la lente, che è completamente interna. Gli occhi dei cefalopodi si sviluppano in modo tale da avere assoni retinici che passano sulla parte posteriore della retina, quindi il nervo ottico non deve passare attraverso lo strato dei fotorecettori per uscire dall'occhio e non ha il cieco naturale, centrale, fisiologico macchia di vertebrati.

 Le cristalline usate nella lente sembrano essersi sviluppate indipendentemente dalle cristalline dei vertebrati, suggerendo un'origine omoplastica della lente. La maggior parte dei cefalopodi possiede complessi sistemi muscolari extra oculari che consentono un controllo molto preciso sul posizionamento grossolano degli occhi. I polpi possiedono una risposta autonoma che mantiene l'orientamento delle loro pupille in modo tale che siano sempre orizzontali.

A differenza dei nostri occhi, gli occhi dei cefalopodi (seppie, polpi e loro simili) contengono solo un tipo di proteina sensibile al colore, limitandoli, a quanto pare, a una visione in bianco e nero del mondo. Ma un nuovo studio, secondo la rivista scientifica statunitense “Proceedings of the National Academy of Sciances” mostra come, in realtà, essi potrebbero arrangiarsi. Mettendo a fuoco rapidamente i loro occhi a diverse profondità, i cefalopodi potrebbero trarre vantaggio da una proprietà ottica chiamata “aberrazione cromatica”. Ogni colore della luce ha una lunghezza d’onda diversa – e poiché le lenti flettono alcune lunghezze d’onda più di altre, un colore della luce che attraversa una lente può essere a fuoco mentre un altro è ancora sfocato. Così, con un giusto tipo di occhio, un rapido movimento del fuoco lascerebbe comprendere all’osservatore il reale colore di un oggetto basandosi su quando sfoca. Secondo uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, le pupille fuori centro di molti cefalopodi – incluse le pupille a forma di W delle seppie- rendono questo effetto di sfocatura più estremo. In questo studio gli scienziati hanno costruito un modello computazionale di occhio di un polpo e mostrato che esso può determinare i colori dell’oggetto semplicemente cambiando il fuoco.

L'aberrazione cromatica non è altro che una sfocatura dipendente dal colore e, concentrandosi attraverso i diversi colori, è teoricamente possibile per i cefalopodi usare i loro occhi come uno spettrofotometro capace focalizzare ogni lunghezza d'onda in sequenza per distinguere il colore. Si ritiene che la messa a fuoco delle singole frequenze della luce sulla retina permetta ai cefalopodi di distinguere i colori sulla base del livello di sfocatura. Questo si traduce con una visione che permette molto bene l'individuazione dei contrasti di colori. I cefalopodi in definitiva potrebbero vedere con una sequenza di immagini come quelle sotto riportate che ruotano velocemente creando dei contrasti.     

                              

                                

Poiché tutto questo è ancora teorico, il prossimo passo sarà quello di testare dal vivo se i cefalopodi in realtà vedono i colori, in questo modo – e se altrettanto potrebbe fare ogni altro animale “daltonico”.

 

Percepire i colori richiede una specializzazione degli occhi e del cervello. Per esempio, gli umani hanno tre tipi di cellule cono, ciascuna associata a un differente intervallo di lunghezze d'onda. Queste cellule trasmettono le loro letture al cervello che le interpreta, appunto, con una visione a colori. Questa abilità ha un prezzo: in condizioni di scarsa luminosità, come già accennato la nostra vista diviene meno precisa. Viceversa, in genere, gli organismi capaci di vedere in bassa luminosità "sacrificano" la percezione delle infinite nuance presenti in natura. I cefalopodi hanno un solo tipo di cellule ottiche e si sono anche distinti nei test di laboratorio per la loro apparente incapacità di percepire i toni secondo i metodi standard (ideati quindi per occhi come i nostri). Eppure il mondo di questi animali è fatto di colori: si mimetizzano fino a rendersi invisibili oppure comunicano con una vasta gamma di tinte (e con grande rischio di essere mangiati) durante la loro stagione riproduttiva. La grande domanda che si ponevano gli studiosi era quindi: come è possibile che animali incapaci di vedere i colori li utilizzino in maniera così eccezionale?

 

 Due ricercatori, padre e figlio, A. Stubbs e C. Stubbs, hanno messo a punto un modello che spiega la loro visione dei colori.

 

 

 In pratica hanno un occhio che percepisce le tinte in base alla distanza alla quale essi sono a fuoco, un po' come fanno le macchine fotografiche digitali massimizzando il contrasto rispetto alla lunghezza focale.

Un meccanismo assolutamente nuovo in natura che, però, probabilmente, è utilizzato anche dai ragni e dai delfini e che una volta ancora dimostra quanto l'evoluzione si sia sbizzarrita sul nostro pianeta.

Il testo che segue è stato preso in maniera parziale da un articolo scritto dal Dott. Ferruccio Maltagliati dell’Università di Pisa, Dipartimento di Biologia, Unità di Biologia Marina e Ecologia, in :” La seppia e l'arcobaleno: implicazioni per l'eging”

In esso riporta studi effettuati da celebri biologi, e da un suo personale esperimento.

“……..Chi non conosce Paul Newman, Keanu Reeves, Bill Clinton e Mark Zuckenberg? Si tratta di quattro celebrità che non distinguono (o distingueva nel caso del compianto Paul Newman) i colori nella loro vita. Non per questo si può dire che essi non siano riusciti ad essere uomini di successo. Ebbene sì, anche le nostre amiche seppie hanno lo stesso "problema", vale a dire non sono capaci di distinguere i colori! Ciò non ha assolutamente impedito a queste creature marine di avere avuto un grande successo evolutivo. Forse la cecità ai colori dei cefalopodi suonerà strana per molti amici pescatori e per molti altri apparirà addirittura una baggianata. Ancora oggi riviste specializzate di pesca sportiva continuano a pubblicare articoli che evidenziano la grande importanza dei colori dell'egi.

 

Recentemente mi è altresì capitato di essere spettatore di servizi televisivi, su canali dedicati alla pesca ricreativa, che mettono in grande evidenza l'importanza dei colori degli egi per la cattura di seppie o calamari. E poi, tra i pescatori sportivi a eging, chi non ha mai sentito pronunciare frasi del tipo: "oggi mangiano il verde!", "le ho prese tutte con l'arancione", oppure "la mattina presto ci vuole l'azzurro, poi bisogna cambiare con il rosso". Tutte queste affermazioni si basano sulle sensazioni personali dei pescatori, che, molte volte ci informano su determinate verità, ma in altri casi capita che conducano a conclusioni fuorvianti. E certamente rientra nella seconda categoria il caso dell'importanza della colorazione delle esche artificiali nella pesca dei cefalopodi!

 

Da biologo marino e pescasportivo tengo a sottolineare che i vecchi pescatori professionisti e ricreativi spesso ne sanno più di noi biologi su certi aspetti del comportamento, dell'ecologia e della biologia di molte specie marine non ancora sufficientemente studiate sperimentalmente dalla scienza. Faccio un esempio: i pescatori professionisti che praticano la pesca a strascico conoscono perfettamente quali sono le aree e i periodi di riproduzione del nasello o dello scampo.

La biologia marina è di fatto una scienza relativamente moderna, estremamente eterogenea e complessa, in cui esistono ancora moltissime lacune da colmare (ciò, a mio avviso, è il suo bello!).

Si consideri che per biologo marino s'intende sia il microbiologo marino, che tratta organismi marini invisibili ad occhio nudo, ma anche il cetologo, che studia le balenottere, cioè animali di oltre 15 metri di lunghezza e più di 100 tonnellate di peso!

I primi studi scientifici sulla visione dei cefalopodi risalgono alla fine degli anni '50, quando due studiosi americani che lavoravano alla Stazione Zoologica di Napoli, Paul K. Brown e Patricia S. Brown, pubblicarono i risultati di una loro ricerca sulla prestigiosa rivista Nature. Questi biologi osservarono che nella retina dell'occhio delle seppie e dei polpi era presente un unico pigmento visivo, la rodopsina. È da rilevare che gli animali che distinguono i colori possiedono almeno due pigmenti (l'uomo ne possiede tre). I due biologi, però, in quel lavoro non trassero conclusioni sulla visione monocromatica dei cefalopodi. Successivamente è degno di nota lo studio di altri due biologi, N. Justin Marshall e John B. Messenger, anch'esso pubblicato su Nature, ma una quarantina di anni più tardi, nel 1996. Questi studiosi effettuarono esperimenti basati sulle capacità mimetiche delle seppie. Venivano rilevati i pattern mimetici mostrati dalle seppie su substrati sperimentali impostati con differenti combinazioni di colori (Fig. X). Per farla breve, questi due autori conclusero affermando che le seppie non distinguono i colori, ma sono ben capaci di rilevare i contrasti di colore, se di una certa rilevanza. Una decina di anni dopo, un gruppo di ricerca americano condotto dalla biologa Lydia M. Mäthger condusse ricerche, i cui risultati furono pubblicati sulla rivista Vision Research, anch'esse basate sulle capacità mimetiche delle seppie in differenti combinazioni di colori del substrato.

Essi confermarono la cecità ai colori nelle seppie (Fig. Y) ed aggiunsero che questi animali sono in grado di risolvere contrasti di colore inferiori al 15%. Un paio di anni più tardi, nel 2008, lo stesso gruppo di ricerca, condotto da Alexandra Barbosa pubblicò su Vision Research che la risoluzione dei contrasti nella seppia è di circa il 5%, un valore abbastanza basso, che indica come questa specie riesca a distinguere molto bene i contrasti di colore. Si consideri che l'uomo è in grado di distinguere contrasti fino al 2% ed il gufo, animale notturno dalle capacità visive eccezionali, fino all'1%.

A questo punto vorrei riferire su una curiosità che ho incontrato scartabellando la letteratura scientifica sulla visione nei cefalopodi: ad oggi sono stati studiati i pigmenti visivi soltanto di alcune specie di cefalopodi; tra quelli studiati, tutti posseggono un solo pigmento visivo nella retina, che è in accordo con una loro visione monocromatica. Esiste però un'eccezione. Il 'calamaro lucciola' del Pacifico occidentale, la Watasenia scintillans, che possiede tre pigmenti visivi nella retina. Si tratta dell'unica specie di cefalopodi "sospettata" di possedere capacità distintive dei colori.

                                         

Calamaro lucciola,(Watasenia scintillans), la parte superiore della foto è la bioluminescenza in questa specie, la parte inferiore è il calamaro nelle normali condizioni.

 

 

Ritornando alla visione delle seppie, tempo fa mi venne in mente l'idea di metter su un esperimento finalizzato a verificare le "credenze cromatiche" dalla maggior parte dei pescatori a eging, in altre parole, avevo intenzione di testare la veridicità delle sopra menzionate "ipotesi" sull'efficacia differenziale dei colori degli egi.

Professionalmente non mi occupo di biologia della visione e quindi, da ignorante in questo campo, la prima cosa che ho fatto è stata quella di documentarmi e quindi sono andato a spulciare nei database della mia Università tutta la letteratura scientifica prodotta sulla visione dei cefalopodi.

 Con sorpresa, ho scoperto che, a partire dalla fine degli anni '50 ad oggi, numerosi studi sperimentali, effettuati soprattutto sul polpo (Octopus vulgaris) e sulla seppia (Sepia officinalis), hanno inequivocabilmente dimostrato che i cefalopodi non sono capaci di distinguere i colori. Al che, mi sono detto: "Caspita! Questa volta i pescatori sportivi hanno proprio toppato!" Ho abbandonato pertanto l'idea di svolgere un nuovo studio sperimentale, in quanto gli aspetti che mi interessavano erano già stati ampiamente indagati da colleghi molto più esperti di me in quel campo. Tuttavia, spinto dalla curiosità scientifica, ma soprattutto da quella di pescatore sportivo, mi sono scaricato i formati elettronici dei vari articoli scientifici e me li sono studiati con attenzione.

Riporto di seguito un sunto delle informazioni che ho estratto dagli articoli che ho ritenuto più rilevanti ai fini della pesca a eging.

                                                          

Fig. 1. Esperimento di Marshall e Messenger (Nature 382:408-9, 1996) effettuato su una seppia della lunghezza di circa12 cm su fondali in ghiaia colorata opportunamente preparati (A, rosso su bianco, B, rosso su blu e C, giallo su blu). Il principio su cui si basa l'esperimento è che la seppia si mimetizza sulla base di come essa vede il substrato su cui si trova. Le immagini con indice a riportano fotografie a luce ambiente della seppia sui tre differenti substrati. Le immagini con indice b indicano i dettagli della pelle. Le immagini con indice c sono fotografie effettuate con un filtro di lunghezza d'onda pari a quella del pigmento visivo presente nella retina della seppia e simulano come la seppia vede il substrato. Si noti che in A la seppia tende a produrre evidenti chiazze mimetiche, in B la chiazzatura è molto meno marcata, mentre in C la pelle della seppia mostra una colorazione praticamente uniforme.

                                                         

Fig.2. Due egi con differenti colorazioni e identico disegno con striature nere. A, visione degli egi da parte dell'uomo; B, simulazione di come vengono visti dalla seppia. La rappresentazione in B è stata ottenuta con una risoluzione dei contrasti un poco inferiore e sulla base della lunghezza d'onda (λ=492 nm, corrispondente al colore verde) assorbita dal pigmento presente nella retina dei cefalopodi. Si noti che ciò che appare cromaticamente differente all'uomo è invece identico per il cefalopode.

 

Ma allora polpi, seppie, calamari e totani devono essere considerati organismi "ipovedenti disabili"? Certo che no, tutt'altro! In un articolo pubblicato nel 2011 sulla rivista Philosphical Transactions of the Royal Society B da un gruppo di ricercatori australiani facenti capo a N. Justin Marshall, viene riportato come l'ambiente acquatico sia ricco di stimoli polarizzati che possono fornire informazioni importanti agli animali che sono sensibili a questo tipo di radiazione elettromagnetica. Senza entrare nel merito della biologia della visione della luce polarizzata, né tantomeno della complessa fisica di questo tipo di radiazione elettromagnetica, riporto soltanto che questo tipo di sensibilità è stata dimostrata sia nei cefalopodi che nei pesci. Tuttavia, questi due gruppi di animali la utilizzano per finalità diverse: i cefalopodi se ne servono sia per comunicare tra loro che per l'individuazione di prede e predatori; mentre i pesci la usano soprattutto per la navigazione e l'orientamento. In particolare, nei cefalopodi è stato visto che le risposte agli stimoli polarizzati sono qualitativamente comparabili con quelle ottenute dai forti contrasti rilevabili con la visione "normale". Ciò suggerisce che la sensibilità alla luce polarizzata rappresenta un canale visivo autosufficiente che comunque aumenta le capacità visive totali e quindi migliora la percezione dell'ambiente circostante da parte del cefalopode.

Che dire quindi della scelta dei colori dell'egi nella pesca dei cefalopodi? Qual è il colore migliore? Beh, alla luce di quanto riportato sopra, il colore non è certamente la variabile più rilevante, anzi...! Probabilmente, una certa importanza la hanno i disegni dell'egi (per es. striature o macchie ben contrastate rispetto al colore di base dell'egi), che sono senz'altro individuabili dal cefalopode. Rimane ancora molto da capire sulla riflessione dell'egi nei confronti della luce polarizzata, che potrebbe essere un aspetto aggiuntivo assai importante per scatenare l'istinto predatorio della seppia e del calamaro. A mio modesto avviso, l'assetto dell'egi in acqua e, soprattutto, il movimento impresso dal pescatore sono gli aspetti da tenere in maggiore considerazione in questo tipo di pesca.

 

 

Recentemente un assurdo articolo firmato da diversi studiosi (ma nessun zoologo), tra cui il "famigerato" Chandra Wickramasinghe, suggeriva che i cefalopodi potessero essere "alieni", cioè derivati geneticamente da qualcosa portata sulla Terra dallo spazio milioni di anni fa.

 Forse non è un caso che nel film “Arrival” gli alieni in visita sulla terra siano stati descritti come cefalopodi. In fondo, in qualche modo lo sono. Sembrano essersi evoluti in un modo completamente diverso! Per questo occorre liberarci, nella ricerca, della tentazione di trovare similitudini con i nostri sistemi, o non capiremo nulla di loro, resta il fatto che questi animali continuano a collezionare una fantascientifica serie di primati.

Uno spunto interessante può nascere da quanto descritto per i calamari giganti. I calamari di grandi dimensioni sono di due tipi: quelli giganti e quelli colossali. I più comuni, da adulti, pesano quanto un grosso pesce spada ma i loro occhi hanno un volume 27 volte maggiore; sono grandi quanto un pallone da basket.

Il fatto che creature dalle dimensioni simili possano avere occhi così diversi non ha mai convinto Sönke Johnsen, studioso della Duke University, tanto più che il calamaro abita gli abissi oceanici, in cui, si sa, la luce quasi non riesce a penetrare.

Johnsen ha quindi collaborato con un gruppo di biologi allo scopo di elaborare un modello in grado di riprodurre le condizioni fisiche e biologiche del modo in cui questi molluschi usano i loro occhi; i risultati del loro lavoro sono stati appena pubblicati su Current Biology.

Il team di ricercatori ha prima collezionato le dimensioni degli occhi di esemplari catturati o fotografati negli ultimi anni; poi, ha rilevato i dati sulla quantità di luce presente tra i 300 e i 1000 metri di profondità, dove vive il calamaro gigante.

Solo successivamente ha elaborato un modello matematico in grado di spiegare il funzionamento degli occhi dei cefalopodi in esame.

È stato dimostrato che gli occhi dei calamari riescono a catturare più luce di quelli più piccoli di altri animali di taglia simile grazie alla grandezza della loro retina. Questa caratteristica permette loro di cogliere anche piccole differenze di contrasto nell’oscurità. Tale capacità, di per se, non sarebbe di grande importanza nelle profondità oceaniche, ma lo diventa se, come accade, permette loro di sfuggire al predatore più temibile: il capodoglio.

Durante la caccia i cetacei emettono dei tipici segnali sonori per individuare le loro prede; i calamari e le seppie non sono in grado di percepirli ma ci sono altri organismi nell’oceano sensibili a questi stimoli. In compenso percepiscono lo spostamento delle masse d’acqua.

Al passaggio del capodoglio, gli organismi bioluminescenti del plankton reagiscono producendo più luce. Grazie ai grandi occhi, e non solo, il mollusco, riesce a cogliere questo debole luccichio anche a grandi distanze.Molto probabilmente l’infallibile radar del capodoglio riesce ad individuare il calamaro prima che questo percepisca la bioluminescenza del plankton. I grandi occhi del calamaro, quindi, non sono sufficienti per non entrare nel raggio d’azione del cetaceo, ma sono fondamentali per permettergli una rapida fuga.

 

Un altro chiaro esempio di quanto la capacità di fuggire al predatore rappresenti una tra le più grandi spinte evolutive, anche nelle profondità oceaniche.  

Quindi è presumibile che anche le forme più piccole di calamari,totani e seppie, percepiscono le bioluminescenze generate dallo spostamento di acqua, ad opera di grandi predatori, non necessariamente orche o capodogli, ma delfini, pesci spada, tonni, barracuda, pesci serra. Ne deriva che la presenza di questi grandi predatori, in condizioni particolari di luce, metterà in allarme i nostri amici cefalopodi facendogli scegliere zone più sicure dove mangiare anziché essere mangiati.

Un importante vantaggio sia dei calamari che delle seppie nella fuga dai predatori è la loro dipendenza da più sistemi sensoriali per il rilevamento degli stessi.

Nonostante il sistema visivo molto avanzato, ci sono molte situazioni in cui i segnali visivi sono ridotti e/o inaffidabili, come in acque torbide, di notte, in ambienti complessi dove gli indicatori visivi sono travolgenti, o nei casi in cui i predatori sono ben mimetizzati.

In queste condizioni, i cefalopodi possono beneficiare di altri sistemi sensoriali, come un sistema analogo della linea laterale, che è sufficientemente sensibile da rilevare un pesce lungo 1 m che nuota a una distanza di circa 30 m, anche quando la vista è disabilitata.

Gli stimoli idrodinamici forniscono informazioni importanti per gli animali acquatici e, di conseguenza, la maggior parte dei taxa ha sviluppato un sistema sensoriale per il rilevamento dei movimenti dell'acqua e delle fluttuazioni di pressione. Negli ultimi due decenni, molti studi hanno rivelato il significato funzionale della linea laterale del pesce. Gli animali acquatici creano flussi e campi di pressione quando nuotano e il rilevamento di queste condizioni idrodinamiche può fornire importanti informazioni sui comportamenti di movimento degli animali. I pesci possono utilizzare queste informazioni idrodinamiche per rilevare ed evitare i predatori.

 

I biologi Carly A. York and Ian K. Bartol hanno eseguito degli studi specifici e hanno potuto notare che quando è buio o l'acqua è torbida, tuttavia, i calamari  e seppie si basano su un sistema sensoriale secondario, costituito da migliaia di minuscole cellule ciliate lunghe solo circa dodici micron e che corrono lungo la testa e le braccia.

                                               Disegno di cellula ciliata ,sotto vista al microscopio

                                                 

                   

                                                

Ciascuna di queste cellule ciliate dell’epidermide che è polarizzata è attaccata agli assoni nel sistema nervoso. La polarizzazione dei peli (ossia la sensibilità alla luce polarizzata) avviene anteriormente, posteriormente e lateralmente in entrambe le direzioni sinistra e destra. Ciò consente ai cefalopodi di rilevare i movimenti dell'acqua a partire da 18,8 µms-1, valore che è paragonabile in sensibilità a quello delle linee laterali dei pesci. La seppia (Sepia officinalis) risponde comportamentalmente alla stimolazione del loro analogo della linea laterale nella gamma di frequenze da 10 a 600 Hz. Inoltre, York e Bartol hanno dimostrato che l'ablazione (eliminazione solo temporanea effettuata con luci particolari o totale e definitiva  con delle sostanze utilizzate in campo bio medico) delle cellule ciliate porta a una ridotta sopravvivenza di calamari giovani e adulti (Lolliguncula brevis) quando interagiscono con un predatore.

                                               

                                                    

                                                   

Immagini al microscopio delle cellule ciliate mostrate su Doryteuthis pealeii paralarvae. (A) Linee di cellule ciliate sulla testa indicate con frecce. (B) Viste ravvicinate delle cellule ciliate sensoriali. (C) Cellule ciliate sensoriali dopo il trattamento con a500 μmol l-1 soluzione di solfato di neomicina. La maggior parte delle cellule ciliate sono state completamente distrutte dopo il trattamento, con le cellule ciliate rimanenti essendo poroso è pesantemente danneggiato. Scala di misura : A, 400 μm; B, C, 5 micron.

 

                                                Doryteuthis pealeii : forma adulta

                                          

Gli animali che nuotano creano una scia, quindi quando le cellule ciliate sul corpo del calamaro o della seppia rilevano questo movimento, inviano un segnale al cervello, che lo aiuta a determinare la direzione del flusso dell'acqua.  In questo modo, entrambi possono percepire un predatore in arrivo anche nelle acque più scure-torbide.

                             

                                      

 I risultati di uno studio americano dimostrano per la prima volta che sia la visione che l'analogo sistema della linea laterale forniscono informazioni sensoriali per l'inizio di una risposta di fuga dal predatore nei calamari o nelle seppie durante l'ontogenesi (E’ l'insieme dei processi mediante i quali si compie lo sviluppo biologico di un organismo vivente, dalla cellula ovarica fecondata all'embrione fino all'individuo completo).

Parliamo ora del mimetismo di certi cefalopodi, associato al comportamento dei cromatofori, ciascuno costituito da pigmenti neri, marroni, rossi o gialli e inanellati nei muscoli. La maggior parte delle specie della classe dei cefalopodi presenta sulla propria pelle dei cromatofori, cellule che contengono granuli di pigmenti, che contraendosi ed espandendosi per effetto di impulsi inviati dal sistema nervoso producono variazioni di colore, questo consente di creare un effetto di contrasto, tra la parte inferiore del calamaro o della seppia più chiara rispetto alla parte superiore più scura, per eliminare una sagoma visibile a un predatore che li potrebbe spiare dal basso, ma anche per motivi comunicativi. Alcuni predatori, tuttavia, come le balene e i delfini, aggirano questo stratagemma usando le onde sonore per rilevare la forma mimetica di ambedue. Desmond Ramirez e Todd Oakley dell’University Of California (Santa Barbara, USA) hanno studiato come, in particolare i polpi, raccolgano informazioni sull’ambiente circostanze attraverso i loro occhi. Analizzando la pelle di alcuni calamari e polpi, hanno scoperto come la pelle di questi cefalopodi reagisse alla luce senza alcun tipo di stimolo da parte del cervello o degli occhi. Hanno raccolto varie biopsie sulla pelle di una specie di polpo in particolare, Octopus bimaculoides: essi colpivano il tessuto con una luce bianca ed erano impressionati dal fatto che quando questo veniva colpito dalla luce, i cromatofori si contraevano cambiando il colore della pelle e si rilassavano quando invece la luce veniva spenta, ritornando alla tonalità iniziale. Allora, hanno verificato l’effettiva lunghezza d’onda utile ai cromatofori per espandersi e così cambiare il colore della pelle da viola ad arancione, ottenendo un valore di 480nm, che è pari alla lunghezza d’onda che permette di percepire il blu-azzurro, colore a cui l’occhio dei cefalopodi risponde in maniera più forte. Ciò ha rivelato una certa sensibilità della pelle in relazione a lunghezze d’onda differenti; i ricercatori hanno chiamato il sistema dei cefalopodi per calcolare l’intensità della luce Light Activated Chromatophore Expansion (LACE). Hanno riscontrato che la causa principale di questo fenomeno è da ricercarsi nella presenza di rodopsine, proteine appartenenti alla famiglia delle opsine, solitamente prodotte nell’occhio e sensibili alla luce. Nei cromatofori infatti, sembrano manifestarsi gli stessi meccanismi che avvengono negli occhi. Altri ricercatori dell’University Of Maryland (Alexandra Kingston, Tom Cronin e R. Hanlon) hanno riscontrato le stesse presenze nei cromatofori di altre specie di calamari e seppie. E’ quindi possibile che nei cefalopodi le stesse strutture, che mostrano una risposta comportamentale ad alcuni stimoli, siano fotosensibili?

 

Molti anni or sono i vecchi pescatori mi raccontavano che si riuscivano a pescare i calamari dalla barca soltanto in certi orari, ossia quando il movimento della lenza dal basso verso l’alto non generava un fenomeno particolare ossia non “sfiammava”. Infatti tale scia bioluminosa generata dal movimento della lenza dal basso verso l’alto, metteva in allarme i calamari, rendendo impossibile pescarli, forse proprio perché associano quella scia alla presenza di un predatore e quindi ad un pericolo. Inevitabile la loro fuga per la sopravvivenza. Possiamo così affermare che ciò che accomuna tutte le teorie messe in campo dai vari e autorevoli studiosi è che tecnicamente i cefalopodi non vedono i colori, ma sembrano essere in grado di percepirli in altri modi. Basta vedere come mutano il loro aspetto per mimetizzarsi col colore dell’ambiente che li circonda, condizione necessaria per la loro sopravvivenza considerato che non sono dotati di una conchiglia esterna che li può proteggere. Essendo animali che passano la maggior parte della loro vita nelle tenebre, l’evoluzione della specie ha fatto sì che il colore percepito dagli occhi non fosse determinante per restare in vita, limitando la vista solo in bianco e nero, ma hanno affidato il loro processo di sopravvivenza ai cromatofori, sparsi sul loro corpo come infiniti occhi capaci di percepire lunghezze d’onda differenti. Infatti in essi, sembrano manifestarsi gli stessi meccanismi che avvengono negli occhi, ovvero sono fotosensibili ma  “percepiscono i colori”. Il cambiamento repentino di colore è possibile grazie alla presenza di particolari cellule dette CROMATOFORI: esse hanno una vescicola piena di pigmento e sono circondati da fasci muscolari molto sottili ma molto reattivi. Questi muscoli regolano la dispersione del pigmento all'interno del sacculo in modo tale che, più i muscoli sono rilassati più il colore della cellula e quindi della porzione di corpo dell'animale risulta scuro poiché il pigmento è distribuito uniformemente nella cellula stessa, viceversa più i muscoli sono contratti, più il pigmento viene accumulato al centro della cellula più il colore risulta chiaro. Il mimetismo dei cefalopodi funziona alla perfezione dove gli ambienti hanno colori “naturali” quindi scale cromatiche di grigi, marroni e rossi; quando l'animale viene spostato in ambienti dove i colori sono più sgargianti e intensi quest'ultimo non riesce a riprodurre perfettamente il colore ma riprodurrà solamente i contrasti cromatici basti pensare ad un fondo di un secchio colorato.

 Ma per non essere scoperti, il calamaro, la seppia, il polpo hanno ancora altri due trucchi nella manica.

Il primo riguarda l'inchiostro, prodotto all'interno del loro mantello. Il “nero” è composto principalmente da muco e melanina, che produce la sua colorazione scura. Quando calamari o seppie  espellono l'inchiostro, lo usano o per creare una grande cortina fumogena che blocca completamente la vista del predatore o una chiazza che imita approssimativamente la dimensione e la forma di uno dei due. Questo crea una forma fantasma, chiamata  “pseudomorfa”, che induce il predatore a pensare che il getto d’inchiostro sia il vero calamaro o la vera seppia.

                                              

Come tocco finale,i nostri tre cefalopodi si affidano alla propulsione a getto per sparire rapidamente dai loro predatori, raggiungendo velocità fino a 25 miglia all'ora(nel caso del calamaro) e allontanandosi dei metri in pochi secondi, il che li rende gli invertebrati più veloci della Terra.

 

Concludo affermando che tutte queste informazioni scientifiche sono ottenute tramite sperimentazioni e non basate su sensazioni personali, in aggiunta alla propria esperienza, rappresentino un buon elemento di partenza su cui basarsi quando organizzeremo le nostre future uscite a… “cefalopodi”.

 

 Quando la scienza ci fornirà ulteriori informazioni, saremo lieti di condividerle con tutti gli appassionati.

Paolo Gavazzeni

SI RINGRAZIA :

- I ricercatori dell’University Of Maryland Alexandra Kingston, Tom Cronin e R. Hanlon.

- Desmond Ramirez e Todd Oakley dell’University Of California (Santa Barbara, USA)

- I Biologi Carly A. York and Ian K. Bartol & Paul S. Krueger

- Mr.Sönke Johnsen, studioso della Duke University,

- La rivista Philosphical Transactions of the Royal Society B 

- I Biologi Marshall e Messenger

-  La biologa Lydia M. Mäthger  & la rivista Vision Research,

 

 - La biologa Alexandra Barbosa & Vision Research 

 

 - La Stazione Zoologica di Napoli, Paul K. Brown e Patricia S. Brown,    & la prestigiosa       rivista Nature.

 - I biologi, N. Justin Marshall e John B. Messenger, & la  rivista Nature.

 - I ricercatori, padre e figlio, A. Stubbs e C. Stubbs.

 - La rivista scientifica statunitense “Proceedings of the National Academy of Sciances”.

 - Il Dott. Ferruccio Maltagliati dell’Università di Pisa, Dipartimento di Biologia.

 - Il documentario “Super Senses: the secret power of the animals”,

 - Yamashita Lab.

- La biologa ricercatrice Carly Anne York –  Western Kentucky University.  Doctor of Philosophy & Ecological Sciences

                                               &

  Ian Bartol (Director), Lisa Horth , Kent Carpenter,

  Sara Maxwell, Paul Krueger, Joseph Thompson

 

 -  I Biologi  Budelmann e Bleckmann

 

 

 

 

RISPETTIAMO SEMPRE IL MARE E LA NATURA

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